È complicato ragionare quando le polemiche fra Italia e Francia e i riflessi condizionati spingono molti a sentirsi come Materazzi contro Zidane alla finale del Mondiale. Ma è urgente superare mezze bugie (e puerili abbagli), per riscoprire la realtà di rapporti politici, economici, culturali e umani che sarebbe meglio difendere nell’interesse di tutti e del partner oggettivamente più debole. Non ha senso giocare con complessi d’inferiorità e superiorità. Piú utile superare punti di attrito e danni collaterali di una campagna elettorale transnazionale, con frecciate strumentali al fronte interno.
Ragionare significa chiarire. Prendiamo il tema più scottante, il controllo dei flussi migratori.È vero che la Francia ha introdotto respingimenti alla frontiera e fatto poco per dare una mano all’Italia in un contesto europeo sordo al dramma quotidiano al largo delle nostre coste. Ma è anche vero che la Francia, come la Germania e altri Paesi come Svezia o la piccola Malta, hanno sopportato – in rapporto alla popolazione – un peso maggiore di migranti a vario titolo, così come è incontestabile che il numero degli sbarchi sia fortemente ridotto. Non aiuta il nostro governo la ricerca di alleanze e sponde sovraniste che proprio perché sovraniste sono più sorde ai nostri nazionali interessi. Nè aiuta la faccia feroce di Salvini. Al contrario, offre argomenti al «politicamente corretto» e denigratorio nei confronti del nostro Paese.
Un altro esempio. Non ha senso la polemica sulla «moneta coloniale», il Cfa come arma economico e finanziaria della Francia e causa di flussi migratori da Paesi impoveriti dall’influenza post coloniale francese. Basterebbe notare che il Cfa è stato adottato anche da un ex colonia portoghese come la Guinea Bissau, che i flussi migratori da questi Paesi sono molto limitati rispetto ad altre ex colonie non francesi come la Nigeria, che l’adozione di questo sistema monetario è un fattore di stabilità ed è in ogni caso libera. Le ondate più forti di migranti arrivano da Maghreb, Medio Oriente e da zone di guerra. Avrebbe più senso battere i pugni sulla questione libica, ricordando alla Francia la responsabilità che si è assunta con la guerra a Gheddafi e la destabilizzazione del Paese. Responsabilità che i successori di Sarkozy hanno riconosciuto a parole, senza atti conseguenti, ma immaginando soluzioni in conflitto con interessi italiani.
Il trattato di Aquisgrana, che rafforza i legami fra Germania e Francia e dà un po’ di respiro a due leader in difficoltà, può essere visto come un ulteriore esempio di egemonia. Ma occorre valutare anche l’ambizione di salvare il salvabile da spinte centrifughe e sovraniste che porterebbero l’Europa all’implosione. All’Italia l’asse franco-tedesco non piace, ma occorre calcolare costi e benefici di una posizione di isolamento. Più utile rafforzare il trattato di Roma, fra Francia e Italia, e lavorare con piena fiducia con la Germania. Abbiamo il compito storico di partecipare al processo europeo accanto ai due maggiori Paesi fondatori e interesse a sviluppare i già forti rapporti in molti ambiti economici e strategici.
Si è fatta molta confusione anche sul caso Battisti. È vero che l’ex terrorista ha goduto in Francia di protezioni e solidarietà, ma è anche vero che la fuga di molti terroristi fu agevolata a suo tempo da un accordo non scritto e mai davvero chiarito nella sostanza — la dottrina/promessa di Mitterrand. I molti anni trascorsi e gli sviluppi giuridici hanno complicato le procedure, al di là delle volontà dei due governi di collaborare su ogni singolo caso.
È infine miope strizzare l’occhio ai gilet gialli, per convenienza elettorale e socioculturale, e a Marine Le Pen, per convergenza sovranista e ideologica. La crescita dei gilet gialli, la loro probabile partecipazione alle elezioni europee, divide le opposizioni e, indirettamente, favorisce il recupero di consensi di Macron. La sponda sovranista diventa comodo alibi per quanti, in Francia, avrebbero interesse a rimettere in discussione accordi industriali, come Fincantieri, e altri ambiti di cooperazione.
È miope anche puntare sull’eclisse di Macron e della Merkel. Il presidente francese non ha intenzione di accantonare riforme strutturali in cantiere e ha messo nel mirino la costosa macchina assistenziale. La Germania non farà marcia indietro sulle grandi riforme già attuate nel sistema pensionistico e nel mercato del lavoro. I provvedimenti bandiera del governo gialloverde possono continuare a sventolare. Ma nel deserto e senza imitatori.
Questo commento è stato pubblicato sul Corriere della Sera il 26 gennaio 2019