La dichiarazione universale dei diritti umani, di cui ricorre il settantesimo della firma a Parigi, si proponeva di estendere all’ambito sociale ed economico i principi scritti con il sangue della rivoluzione francese ed americana e di ampliarne l’applicabilità a tutti gli stati membri delle Nazioni Unite, a prescindere dal regime politico e dall’ordinamento di ogni singolo stato. In pratica, un rafforzamento dei diritti dell’individuo in relazione agli orrori che il mondo aveva patito con il Nazismo e la seconda guerra mondiale (l’Olocausto, il bombardamento atomico, le deportazioni di massa) e alle conquiste culturali e civili del ventesimo secolo, in particolare rispetto alla condizione della donna e dell’infanzia.
La storia del dopoguerra fino ai giorni nostri racconta una distanza abissale fra le enunciazioni di principio e la loro messa in pratica in molti angoli del mondo. Genocidi, massacri, deportazioni si sono ripetuti, dall’Africa all’Asia e persino alle porte dell’Europa, se si ricorda la tragedia della ex Jugoslavia. I drammi dei soldati bambini, della schiavitù e dello sfruttamento di donne e minori sono ricorrenti e non sono estranei nemmeno al mondo piú sviluppato.
La caduta del Muro di Berlino (di cui ricorre l’anno prossimo il trentesimo anniversario) ha decretato la fine del comunismo e della guerra fredda e ha esaltato in molti angoli del mondo il diritto dei popoli all’autodeterminazione, senza tuttavia scongiurare la minaccia nucleare e la proliferazione del commercio internazionale di armamenti.
Distanza ancora abissale dunque. Eppure, ridotta anche in Paesi le cui condizioni politiche ed economiche rendono problematica l’affermazione di diritti. La globalizzazione e lo sviluppo delle comunicazioni hanno migliorato condizioni di vita, libertà di espressione, accesso all’informazione, possibilità di movimento. E hanno offerto anche formidabili armi di denuncia, spesso in tempo reale, contro ogni forma di violazione, oppressione, censura. Si tratta naturalmente di progressi relativamente piccoli, ma significativi se si considera quanto e come i diritti fondamentali segnino invece il passo nel mondo cosiddetto progredito. Basterebbe prendere in esame le discriminazioni nel mercato del lavoro, la povertà di ritorno, lo sfruttamento minorile, la condizione dei migranti, la messa in discussione di diritti acquisiti.
È per queste ragioni che la dichiarazione universale conserva intatta la sua forza etica e il senso di un impegno per tutta l’umanità. Esattamente come settant’anni fa, l’attualità di una riflessione sui diritti da difendere e sui diritti ancora da conquistare spinge la coscienza collettiva e chi avrà il compito di riscriverli nel marmo della Storia a considerare non soltanto il molto che resta da fare, ma anche le nuove emergenze che minacciano la condizione umana. In primo luogo, l’emergenza ambientale, che da un lato distrugge salute, economia e progresso nelle aree piú sviluppate e che, dall’altro lato, fa arretrate ancora di piú le popolazioni delle aree piú povere, provocando inoltre conflitti per le risorse e ondate migratorie sempre piú massicce. A loro volta, le ondate migratorie richiamano la coscienza del mondo alla difesa della dignità della persona, qualunque sia la sua origine e la terra di provenienza, e al diritto a ricercare condizioni di vita piú favorevoli. Le centinaia di morti e dispersi nel Mediterraneo, le tratte di esseri umani, gli stupri e le torture nei centri di raccolta dei Paesi di provenienza, le condizioni spesso miserabili nei Paesi di accoglienza si devono considerare come aperte violazioni dei diritti della persona. C’é infine una nuova emergenza, finora sottovalutata almeno in relazione alla questione dei diritti umani, ma pienamente in sintonia con lo spirito della dichiarazione universale che affermava anche il diritto all’istruzione e a un’informazione libera da censure e condizionamenti. Ebbene, non dovrebbero sfuggire le conseguenze devastanti delle fake news e del controllo globale degli algoritmi sullo sviluppo della vita democratica e sulla partecipazione dei cittadini alla formazione delle decisioni. Forse un articolo andrebbe riformulato in modo più esteso : “nessun individuo può essere sottoposto a interferenze arbitrarie della suta vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesioni del suo onore e della sua reputazione….”
Questo articolo è stato pubblicato su Sette, inserto del Corriere della Sera, il 4 dicembre 2018.