Racconta il Financial Time di tanti giovani portoghesi andati a cercare lavoro in Mozambico. L’emigrazione alla rovescia nella ex colonia non e’ un risarcimento umanitario, ma la conferma di come la crisi del debito stia stravolgendo ideali e benefici dell’Europa. Non risulta che i portoghesi abbiano abbracciato l’ euro per emigrare in Mozambico, ne’ che i greci sognassero il dimezzamento delle pensioni in cambio della moneta unica, ne’ che le stelle della bandiera blu dovessero tramutarsi, come in una brutta favola, in una corona di spine. Ieri Grecia e Portogallo. A chi toccherà domani?
Non ci eravamo uniti per costruire un sistema che tenesse insieme mercato e solidarietà e una rete di controlli e regole al di la’ di tradizioni e identità nazionali? Eppure ci stiamo abituando all’idea che il modello non funzioni o debba essere circoscritto a un’ indefinita Europa del nord. Idea che la Gran Bretagna ha messo in pratica sbattendo la porta a entrambe le prospettive.
Ci stiamo convincendo che il rimborso dei debiti pubblici, non dei debiti personali, sia possibile guadagnando di meno, perdendo il lavoro e pagando più tasse. O che il creditore preferisca uccidere il debitore per ottenere il rimborso anziché allungare le rate. O che il debito degli Stati sia la stessa cosa del debito delle famiglie, anche se non e’ così dal giorno in cui fu inventato il denaro. Eppure, qualcuno dovrebbe spiegare al cittadino europeo perche’ questo avvenga nell’ area più progredita del pianeta.
Spesso ricorre la metafora del Titanic per denunciare inerzia di chi avrebbe la responsabilità d’intervenire prima che la nave affondi, ma la metafora e’ incompleta, poiché milioni di passeggeri di seconda e terza classe stanno già affogando : per loro, le scialuppe non basteranno mai, mentre i capitali fuggono e affluiscono fuori dall’ area euro, in particolare nella city londinese, laddove la tripla A e’ come uno stemma di famiglia, nonostante Brexit, poverta’ diffusa e bilanci in rosso.
Si corre in soccorso delle banche – il che può essere una strada obbligata – ma che ne sarà di decine di milioni di europei strangolati dalla crisi? Quali saranno i loro valori di riferimento domani, le scelte politiche, il messaggio che consegneranno alle prossime generazioni? Si discetta di misure straordinarie, ma alcune banali domande restano sospese : se nessuno ha interesse alla scomparsa dell’euro, perché c’e’ questo rischio? Se nemmeno alla Germania conviene lo strangolamento dei Paesi debitori, perché questo sta avvenendo? Se tutti devono fare sacrifici, perché la Francia socialista difende le pensioni a sessant’anni e rifiuta il rigore? Perché non chiedere agli europei, in un sondaggio/referendum, se vogliono salvare la casa comune? Altrimenti ha ragione Habermas nel denunciare l’ autocrazia post democratica che governa il vecchio continente. Si dice “il tempo e’ denaro”, ma nell’Europa di oggi e’ il denaro a imporre il tempo, stravolgendo il presente e negandoci il futuro a colpi di spread.
Molti commentatori chiedono alla Germania di riflettere sulla lezione degli anni Trenta. Piu’ utile riflettere sulla lezione delle guerre balcaniche, conseguenza indiretta della caduta del Muro di Berlino e della strategia tedesca di estendere l’area del marco al sud est dell’Europa. Cosa avvenuta, con enormi benefici, cui ha contribuito la manodopera specializzata di Croazia, Polonia, Repubblica Ceka, oltre che della ex DDR.
Si e’ rafforzata l’idea che il disastro greco dipenda dai conti pubblici truccati. Perché non ricordare il peso abnorme delle spese militari, cui la Grecia e’ stata in sostanza costretta, i benefici fiscali dei grandi e piccoli armatori, la fuga di capitali incentivata dalla crisi?
La crisi dell’euro e il caso Grecia non sono “soltanto” un problema finanziario. Occorre anche chiedersi che cosa sarebbe la Grecia fuori dall’euro se non un Paese a forte rischio di destabilizzazione sociale e politica, magari in uscita anche dalla Nato. E che cosa potrebbe diventare una zattera alla deriva, fra i Balcani e il Medio Oriente, se non un crocevia di traffici e una nuova minaccia per l’ Europa? Basterebbe guardare, oltre ai conti, la carta geografica. In alternativa, un regime che cercherebbe soccorso dove può trovarlo, come ha già fatto, aprendo agli investimenti cinesi settori vitali della propria economia e quindi offrendo alla Cina una piattaforma di penetrazione commerciale nel Mediterraneo, di cui farebbero le spese i grandi porti del nord.
Si spera che gli scenari peggiori vengano smentiti, ma intanto, sull’orlo del baratro, auguriamoci di non dovere pensare dell’Europa ciò che Robert Musil scriveva a proposito della Cacania, “quella nazione incompresa e ormai scomparsa che in tante cose fu un modello non abbastanza apprezzato.”