Mentre tutti i comuni d’Italia hanno esposto il tricolore a mezz’asta in segno di cordoglio per le oltre diecimila vittime del coronavirus, qualche bandiera europea è stata bruciata e le immagini sono circolate in rete.
Un’azione di estremisti isolati, ma rivelatrice di sentimenti antieuropei che non da oggi circolano nella società italiana e che si avvertono con più forza in queste drammatiche settimane di emergenza sanitaria. Alcuni sindaci, vicini alla Lega e a Fratelli d’Italia, i due partiti sovranisti, hanno proposto di non esporre più la bandiera blu con le stelle, un gesto sollecitato anche dalla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, in ascesa nei sondaggi.
La spiegazione è semplice: al massimo bisogno di Europa, di coesione e solidarietà fra Paesi amici, non è ancora seguita una risposta coerente e all’altezza della più grave crisi economica, sociale e sanitaria dalla fine della seconda guerra mondiale. Forse, addirittura qualche cosa di peggio, poichè nemmeno in guerra si è fermato tutto e si sono tenuti un miliardo e mezzo di individui chiusi in casa. È il ground zero dell’urbanesimo, il ground zero della globalizzazione.
Gli italiani, cittadini di un Paese fondatore, da sempre più filoeuropei di altri popoli, non si sono sentiti protetti e aiutati in queste ore, tanto più che testimonianze di solidarietà sono arrivate nel frattempo dalla Cina, dalla Russia e persino dall’Albania.
Reazioni isolate non vanno confuse con posizioni politiche della maggioranza dei cittadini e del governo. È sport diffuso, quello degli estremisti di sparare nel mucchio, contro bersagli generici. La bandiera europea è andata in fiamme a Londra, fra i sostenitori della Brexit, e anche a Parigi, durante le manifestazioni dei gilet gialli. Gesti del genere ricordano le offese alla bandiera Usa in scenari di conflitto: perfette per la diffusione mediatica, ma gesti comunque isolati.
Ciò che non può essere sottovaluto è l’antieuropeismo silenzioso, l’ostilità che si avverte nei più diversi ambienti sociali, ingigantita con slogan e fakenews dai leader populisti che tuttavia hanno trovato in queste ore formidabili argomenti per la loro propaganda. Al bersaglio generico (l’Europa matrigna egoista nell’immaginario collettivo) si sono sovrapposti fatti decisamente imbarazzanti anche per i più convinti europeisti: l’iniziale prudenza della BCE, la gaffe internazionale della presidente Christine Lagarde che sembrava parlare di spread da un altro pianeta, il fallimento dell’ultimo vertice europeo, la resistenza della cancelliera Angela Merkel a ipotesi di «corona bond» o «euro bond», l’intervento a gamba tesa di Ursula von der Leyen («gli eurobond sono solo uno slogan»), francamente poco elegante per una presidente di commissione obbligata a un atteggiamento superpartes.
L’irritazione esplicita del presidente Macron e del premier italiano Conte («state guardando la storia con gli occhi di dieci anni fa») per il momento ha avuto un effetto contrario, nel senso che ha confortato posizioni sovraniste e euroscettiche, quasi a dire «avevamo ragione noi, con questa Europa non si tratta, meglio fare da soli».
C’è da aggiungere che qualche bandiera europea simbolicamente bruciata ha fatto da sfondo anche a un’ondata di critiche alla Germania, un coro cui si sono uniti opinionisti ed esponenti politici di convinta fede europeista. L’ «egoismo tedesco», agli occhi dei sovranisti, è la parte per il tutto, ossia «l’egoismo europeo» condizionato a misura della Germania.
In questo scontro di sentimenti e propaganda, si dovrebbe analizzare il rapporto di causa ed effetto fra i diversi movimenti sovranisti europei, tutti animati dall’ostilità verso Bruxelles, ma per nulla solidali fra loro. Le prudenze di Angela Merkel – Madame Nein, come l’aveva chiamata Sarkozy – sono anche il risultato della forza crescente del sovranismo tedesco, del condizionamento anti europeo di AfD, Alternative für Deutschland, il movimento di estrema destra che ha fatto proseliti anche nelle università, fra accademici ed economisti.
E’ forte il rischio che si allarghi in Germania un fronte antieuropeista, per certi aspetti più pericoloso del populismo all’italiana (si sa che anche in negativo, il dna tedesco è più rigoroso). E la minaccia si è avvertita da quando Angela Merkel, nel 2015, decise la clamorosa accoglienza di quasi un milione di profughi siriani, una mossa dettata dalla volontà di ristabilire l’immagine di un Paese aperto, tollerante, solidale, dopo la catastrofica gestione della crisi greca (piccola cosa, rispetto all’emergenza Covi19, che comunque non ha insegnato ancora nulla).
E c’è da considerare che i tedeschi, per natura e per la storia recente, sono sensibili ad ogni scricchiolio della loro economia. Già si stavano fasciando la testa per la crisi dell’auto e i segnali di recessione alla fine del 2019. Figurarsi oggi che il governo ha deciso di mettere da parte il totem del pareggio di bilancio per soccorrere industrie e famiglie.
Per fortuna, non è ancora scritto che la china imboccata sia definitiva. Angela Merkel è alla fine del mandato, non correrà per un’ulteriore legislatura. Si può sperare che voglia passare alla storia come la donna che ha salvato l’Europa e fatto proprio il motto di Thomas Mann (voglio una Germania europea e non un’Europa tedesca) e non come la leader che ha contribuito ad affossarla.
Ma allora perchè il « nein » di questi giorni? Molti dimenticano la biografia, la formazione politica e culturale nell’est comunista, la mentalità della grande « Mutti », la madre premurosa che gestisce il Paese come una saggia « casalinga sveva » (copyright, sempre Angela). Prudenza, abitudine a valutare le opzioni prima di prendere un’iniziativa, costruire faticosi compromessi e alla fine decidere, a volte prendendo in contropiede quanti si aspettano il contrario.
Non sarebbe la prima volta: per questo i tedeschi hanno fiducia in lei. Lo ha dimostrato in queste settimane, quando ha atteso più del dovuto prima di convincersi che l’epidemia toccava anche la Germania.
La speranza è che spenga l’incendio, anzichè soffiare sul fuoco. Oggi più che mai, l’Europa è nelle sue mani.
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