Nelle scuole di giornalismo si insegnano i doveri fondamentali della professione, l’indipendenza di giudizio, il rispetto delle diverse opinioni, la distanza dal potere. Il bravo professionista li applica in ogni circostanza, correggendo quanto possibile errori di valutazione, eccessi di toni, abbagli.
Ma arriva a volte il momento in cui, a questi doveri, si unisce il dovere della responsabilità verso il proprio Paese, ovvero il dovere di schierarsi, non a favore di questo o quel partito, ma dalla parte di valori non negoziabili della democrazia. Non è più possibile assistere passivi e rassegnati a una lotta impari e senza speranza fra la mole di notizie drogate, tweet, bufale alimentate dal pregiudizio, e il giornalismo che cerca di essere “soltanto” obiettivo, documentato, analitico. Occorre uno scatto, di nervi, di qualità, di coraggio, di rischio.
A ogni governo regolarmente eletto dai cittadini si devono attenzione e rispetto, ma non sono sempre applicabili le equidistanze di giudizio quando ministri, portavoce, deputati e la filosofia stessa del governo mettono in discussione le basi della convivenza civile, elementari regole per la sanità pubblica, valori fondamentali quali il rispetto di tutte le razze e religioni, la collocazione del Paese in Europa e sulla scena internazionale, la difesa del risparmio dei cittadini e la stabilità finanziaria. L’elenco degli orrori e degli errori dell’alleanza gialloverde è lungo e la conferma non arriva soltanto dalle conseguenze più immediate ed evidenti: crescita dello spread, fuga di capitali, calo della produzione industriale, calo dell’occupazione.
Questo governo ha innescato una pericolosa deriva culturale in diversi ambiti sensibili: convivenza fra gruppi etnici e religioni, immigrazione, integrazione sociale, rapporti con la Chiesa, rapporti fra forze politiche, informazione. In queste ore si è attaccata persino la “neutralità” della funzione pubblica, con gli insulti del portavoce Casalino (non casualmente un ex de Il Grande Fratello) ai funzionari dello Stato. Un fatto inaudito, ma già dimenticato nel tritacarne dell’informazione velocizzata e acritica, in attesa della prossima sparata. Pardon, è già arrivata da Di Maio: “aboliremo la poverta’”, i giornali ci fanno i titoli, ma nessuno gli chiede come: per decreto? nel prossimo secolo? Con il Vangelo e il Mago Zurlì?
Salvini ripete spesso «non sono razzista», ma un ministro degli interni non dovrebbe sentire il bisogno di precisarlo. Comunque sia, atteggiamenti e dichiarazioni espresse a così alto livello offrono preoccupanti alibi a sentimenti e a episodi di razzismo che purtroppo continuano a ripetersi. Non è sbagliato il suo impegno per la sicurezza e il controllo dei flussi migratori. Lo provano il consenso che riceve, i risultati oggettivi, l’analisi di fenomeni che impongono una nuova visione e l’impegno concreto dei leader e dei governi europei che hanno finora lasciato colpevolmente sola l’Italia ad affrontare il fenomeno.
Ma è tragico un modello di comunicazione salviniano/leghista che alimenta pregiudizi, chiusure, odio per lo straniero, paure collettive senza considerare i dati reali (gli sbarchi sono diminuiti, non ci sono cosi tanti stranieri come si crede, la criminalità non è in aumento, gli immigrati non rubano il lavoro agli italiani) e altre facce del problema: il bisogno demografico di immigrazione controllata, la situazione dei Paesi di provenienza, la cooperazione in Europa, il divario fra società sempre più ricche e società sempre più povere.
Questo governo, per la sua componente grillina, dice no alla modernizzazione del Paese: no alla Tav, alla Tap, alle grandi opere, ai vaccini, alle banche, alle leggi del mercato. Questo governo immagina una decrescita felice distribuendo sussidi che distruggono le finanze pubbliche e immaginando chiusura domenicale di supermercati e centri commerciali. Ma questa stessa compagine che un tempo proponeva Gino Strada o Stefano Rodotà per il Quirinale oggi subisce e segue passivamente l’impostazione socio-culturale di Salvini. Tuttavia, nessuno lo dice, nessuno si chiede se sovranismo, nazionalismo, autarchia siano tratti comuni di alleati diversi, ma culturalmente uguali.
Il matrimonio fra sovranismo, autarchia e razzismo si sa dove puó portare, soprattutto quando crescono indifferenza e rassegnazione e decrescono critica e opposizione. La storia del nostro Paese lo insegna.
Occorre resistere e ribellarsi a una capillare distorsione dell’informazione, costruita sulla propaganda, sulle notizie false, sulla moltiplicazione artificiale di tweet favorevoli, sull’occupazione degli spazi di potere, sugli attacchi ai giornali, sulla conquista delle televisioni pubbliche.
Questo governo delegittima la funzione dei corpi intermedi e delle istituzioni: non servono i parlamentari, non servono i giornalisti, la magistratura dà fastidio, le autority vanno sostituite a piacimento. Conta soltanto la “democrazia diretta”, il capo che decide sulla base del consenso artefatto in rete.
Autarchia, sovranismo, pericolose alleanze con nemici e avversari dell’Europa, da Putin ad Orban. Questa non è l’Italia che amiamo, l’Italia che si afferma nel mondo per le sue bellezze, i suoi valori, le sue straordinarie piccole e medie imprese, la sua cultura diffusa. Questa è l’Italia immaginata da forze che hanno costruito vittoria elettorale e conquista del potere con una straordinaria offensiva mediatica e con il contributo di società esterne e consulenti come la Casaleggio &C.
Questa è l’Italia cui hanno tragicamente contribuito un’opposizione rissosa e imbelle, le devastazioni culturali del Berlusconismo, il solco che separa sempre più il popolo sofferente dalle elite dirigenti, tutte delegittimate, tutte genericamente processate da un circo mediatico di comici e intellettuali autoreferenziati che si sono scambiati di ruolo e che continuano il balletto nella nuova stagione dei talk show. La ghigliottina ha fatto il suo lavoro. Ma adesso è il tempo di reagire, resistere, denunciare, prima che sia troppo tardi.