Alzi la mani chi avrebbe scommesso, dopo anni di austerità imposta dall’Europa e di miserabili calcoli decimali sull’aumento del Pil e tagli della spesa pubblica, di vedere piovere tanti soldi sul Paese e un’Europa  così solidale da mobilitare eccezionali risorse. In poche settimane, abbiamo messo in soffitta il Patto di Stabilità e convinto persino la Germania a indebitarsi. E’ vero, sono miliardi di euro che serviranno a riparare i danni. Ma, se saremo capaci di spenderli e se saranno impiegati bene, serviranno anche a costruire un modello di sviluppo più sostenibile, partendo dalla prevenzione delle emergenze (i cui limiti sono stati messi in tragica evidenza) e da una maggiore presa di coscienza delle cause ambientali della diffusione del virus.

Lo slogan “andrà tutto bene” era un incoraggiamento, ma “nulla sarà come prima” potrebbe rivelarsi un impegno etico e politico, per cambiare comportamenti collettivi nella direzione che da tempo ci raccontiamo soltanto a parole.

Il virus ha imposto una diversa percezione del rischio, dei nostri limiti, del senso dell’esistenza. Nessuno teme per la propria vita anche se ogni giorno riceve notizie sul buco dell’ozono o sullo scioglimento dei ghiacci, ma ogni cittadino è oggi consapevole di che cosa significhi la falsa gerarchia di bisogni e priorità in cui abbiamo finora vissuto, delle conseguenze tragiche della nostra approssimazione e imprevidenza, come Stato, come amministrazioni pubbliche, come classe dirigente che, per citare De Gasperi, pensa alle prossime elezioni e non alle prossime generazioni.

Il virus ha però dato una scossa anche alla politica. Vivevamo in un Paese incattivito e rancoroso, tendenzialmente un po’ razzista, scettico verso l’Europa, avvelenato da una politica strillata e piena di odio. Ci siamo svegliati in un Paese più coeso e solidale, persino disciplinato, che ha dato straordinarie prove di sacrificio e coraggio, che ha riscoperto i valori della famiglia, dell’amicizia, dei rapporti all’interno di piccole e grandi comunità. Un Paese che ha compreso la necessità di regolarizzare decine di migliaia di migranti perchè altrimenti non avrà in autunno frutta e verdura. Un Paese che ha cantato alle finestre e che ha pianto i morti. Insieme.

Sapevamo di vivere in uno Stato disorganizzato, slabbrato in tante funzioni, impreparato all’emergenza. Eppure le strutture pubbliche hanno retto. Medici, infermieri, forze dell’ordine, funzionari, insegnanti – ciascuno nel suo ruolo – hanno fatto la propria parte, spesso con una dedizione e un impegno eroici. E non si può negare – senza assolvere errori e improvvisazione – che anche la politica abbia fatto la propria parte, come nessuno si sarebbe aspettato se solo si ricordassero tempi che sembrano lontani anni luce : i selfie di Salvini al Papeete Beach, le campagne grilline contro i vaccini, le risse per la leadership nel PD, le feste sexy di Berlusconi, oggi calatosi nei panni del saggio padre della patria e di una destra liberale, moderna, europeista.

L’emergenza ha messo al primo posto ciò che per anni, se non per decenni, era argomento di dibattiti accademici, di convegni includenti, di promesse mai mantenute: il cambio di passo della burocrazia, l’assoluta urgenza di sapere spendere bene e in fretta i soldi che ci sono e quelli che arriveranno, l’urgenza di innovazione tecnologica del sistema Paese e di investimenti in sanità, scuola, patrimonio edilizio, infrastrutture, smart working, cultura, turismo, ricerca. L’Italia ha competenze, risorse intellettuali, energie per risorgere. Nelle piazze deserte, il corona virus ci ha fatto anche riscoprire la nostra immensa bellezza, talvolta ferita e trascurata.

E’ sicuro che saremo un Paese più indebitato, anche se in buona compagnia in Europa. Ma è possibile che il debito non pesi più di tanto sulle prossime generazioni se appunto la ripartenza avverrà all’insegna del “niente sarà come prima”. Fra gli effetti “positivi” del coronavirus, c’è appunto lo straordinario risveglio dell’Europa, la presa di coscienza collettiva, con la Germania al primo posto, che nulla sarà più come prima, ovvero che il sogno europeo rischiava l’implosione senza la scossa concreta della solidarietà e della capacità di spesa per i prossimi anni. Il coronavirus potrebbe essere anche il canto del cigno dei sovranisti, dei teorici del lookdown dei confini e delle nazioni, proprio perché la tragedia che stiamo vivendo ha dimostrato che nessuno si salva da solo, nemmeno la potentissima Germania, con i suoi bilanci in attivo, strutture sanitarie di prim’ordine e un volume di fuoco di case farmaceutiche e laboratori di ricerca.

In queste settimane, ci è toccato di leggere anche le più bizzarre teorie complottistiche, in cui scampoli di verità e di ipotesi probabili s’inseriscono in fantasiose manovre planetarie di grandi potenze o di poteri occulti. A turno si accusano la Cina o gli Stati Uniti, la speculazione finanziaria e le lobby massoniche, con contorno di romanzi e fiction premonitrici. La verità è probabilmente più semplice : qualsiasi siano le cause e le origini del virus, l’epidemia ha offerto al mondo e ai singoli Paesi una vasta gamma di opportunità negative e positive, esattamente come ci sono sciacalli che si arricchiscono sui terremoti e ingegneri che studieranno il modo di costruire case più sicure. Dipende da come impareremo la lezione.

L’esempio più emblematico degli ultimi mesi di storia italiana è il Ponte Morandi a Genova: un disastro annunciato, una tragedia che ha messo a nudo incuria, corruzione, mancanza di controlli, arretratezza. Ma il Ponte, grazie a un’immediata mobilitazione di risorse e un sano decisionismo politico, è stato ricostruito a tempo record e sarà il simbolo di una città che rinasce e di un Paese che sa guardare al futuro.