Domenica prossima, Emmanuel Macron, trentanove anni, potrebbe essere essere il piú giovane presidente e uno dei piú giovani “condottieri” della Storia francese moderna, se escludiamo i re di ere lontane. Piú giovane di Giscard d’Estaing e poco più anziano di Napoleone, imperatore a trentacinque.

La suggestione dei paragoni va oltre l’anagrafe. E’ la sfida per l’Eliseo a suggerire accostamenti celebri, cui volentieri si abbandonano analisti, storici e commentatori. Nessuno resiste al mito di Bonaparte, tanto piú in prossimitá del piú celebrato anniversario, il 5 Maggio. Nessuno resiste anche perché il presidente, quando entra all’Eliseo – un po’ per i poteri costituzionali e sopratuttto per i riti e le simbologie che accompagnano il suo incarico – tende ad assogliare a un monarca e qualche volta finisce per crederci lui stesso.

Tanto che, con il concetto di “tentazione e/o deriva bonapartista”, la comunicazione politica lancia talvolta l’allarme, alludendo soprattutto all’altro Bonaparte, Napoleone III, il nipote eletto presidente della Repubblica (a quarant’anni) e poi autoproclamatosi imperatore con un colpo di stato. Difficile comprendere –  se non appunto facendo riferimento al mito e al fascino di Napoleone I -perché i francesi amino di piú il caporale corso, che in fin dei conti li portò alla disfatta, del sovrano che accompagnò la Francia nella rivoluzione industriale e modernizzò Parigi come la vediamo oggi.

Un interrogativo che, lasciando stare il canto funebre del Manzoni, infinitamente mandato a memoria a scuola, dovrebbe sollecitare anche gli italiani, di sicuro piú in debito con Napoleone III per i cinquantamila francesi lasciati sul campo a Solferino nella guerra d’Indipendenza.

Il gioco culturale e letterario dei paragoni si ripete ogni volta che il Paese si sente a torto o a ragione sull’orlo dell’abisso e intravede nel nuovo leader carismatico l’occasione del riscatto nazionale e della glorificazione delle proprie qualitá offuscate. Il dibattito sul declino della nazione é esercizio permanente e alimenta il confronto politico, l’assegnazione delle colpe e delle responsabilitá, la ricerca costante di riferimenti al passato per trovare le chiavi della rinascita. Per questo, la galleria della storia si estende ovviamente a de Gaulle per la destra e a Mitterrand per la sinistra, a Napoleone in modo bipartisan e a Giovanna d’Arco per il Front National che si é appropriato della pulzella d’Orleans per la simbologia della resistenza all’invasore e del riscatto patriottico. Anche se la campagna del 2017 ha un po’ mescolato le figurine della storia, nel momento in cui qualche gaullista doc é passato al servizio di Marine Le Len e Emmanuel Macron ha sfilato al Front il monopolio di Santa Giovanna.

Qualche volta il gioco dei paragoni gloriosi stuzzica l’ego dello stesso leader in ascesa e la sua caricatura mediatica. Quante vignette di Sarkozy sul cavallo bianco e con la corona in testa abbiamo visto al tempo della sua presidenza? Quante volte i suoi denigratori lo hanno soprannominato “le petit”, come Victor Hugo definiva Napoleone III?

Occcorre poi ricordare che nel “bonapartismo” si ritrovano anche le radici nazionaliste, patriottiche e autoritarie del Front National, spesso superficialmente condensante in una dimensione esclusivamente fascista e xenofoba.

A proposito di Emmanuel Macron ci sono circostanze particolari ed eccezionali che in qualche modo giustificano il paragone con Bonaparte, benché proprio Macron – per stile personale e concezione della politica – ne sembri schivo e lontano. Sono l’ etá, la combinazione di talento e fortuna, la velocitá della conquista dell’Eliseo gli elementi che rendono suggestivo l’accostamento con il giovane generale che in pochi mesi prende il potere nella Francia lacerata e sull’orlo del conflitto civile, devastata e impoverita dal periodo rivoluzionario e dalla controrivoluzione. Napoleone vince perché é l’uomo giusto, nel posto giusto, al momento giusto. La fortuna lo aiuta, combinata all’intelligenza e alla debolezza degli avversari e a una visione politica. Sotto le ali dell’Aquila francese, l’imperatore pensava a un’Europa unita, con “una stessa misura, una stessa moneta”, riuscendo ad esportare o a imporre in molti Paesi la modernitá dei suoi codici e la missione universale della Francia.

Macron era un perfetto sconosciuto quando fondò il suo movimento  “En Marche” nell’agosto nell’estate di due anni fa. Giá il titolo prescelto lascia immaginare il percorso del suo consenso, dalle lontane periferie fino a Parigi. Macron si é inserito nel vuoto dell’offerta politica, nel crollo di partiti rissosi, negli scandali che hanno azzoppato rivali di sicuro piú forti, piú esperti, più assuefatti alle logiche del potere. Anche Macron, come il caporale corso, é stato in qualche modo appoggiato, sospinto, cooptato negli ambienti che contano nella capitale, ambienti del potere politico, mediatico, economico, che per varie cause hanno bruciato altri candidati o non sono stati capaci di trovarne uno migliore che andasse bene a tutti.

Se é lecito continuare a giocare, dovremmo aggiungere che anche Napoleone costruì la sua ascesa grazie a Josephine, donna piú matura e più anziana di lui, divorziata e madre, saggia consigliera nei momenti più difficili del regno, amata fino alla morte, nonostante altri amori e il divorzio, in nome della ragion di Stato, per la giovanissima Maria Luisa.

E siccome i sondaggisti francesi hanno dato prova di affidabilitá, é assai probabile che domenica sera la Francia festeggerà Macron mano nella mano alla sua Brigitte, nuova première dame. La misura del tronfo  – e delle battaglie che attendono il nuovo sovrano – dipenderà dalla percentuale che otterrá Marine, specchio del peso delle divisioni sociali ed economiche del Paese. Una vittoria contenuta lascerebbe un enorme potenziale al Front National per sognare la rivincita e rappresentare, già oggi, una pesante opposizione. Domenica sera, i francesi, e l’Europa che osserva la Francia, esulteranno per lo scampato pericolo. Ma é bene non illudersi, dopo Austerlitz c’é Waterloo.

da Corriere.it