Mettiamo fra parentesi, ma solo per un attimo, giudizi e pregiudizi sul personaggio Trump, analisi ipotetiche su ciò che fará, vorrá, potrá o gli lasceranno fare. Non é nemmeno detto che, fra scandali e gossip, sia in grado di finire il mandato. Quel che é invece certo é che l’inizio dell’era Trump coincide con un cambiamento epocale delle categorie politiche ed economiche e quindi della percezione del mondo in cui viviamo.
Viene messa per la prima volta in discussione dalla patria del liberismo economico la globalizzazione degli scambi e l’integrazione economica e finanziaria del pianeta. Gli Stati Uniti si presentano come neo protezionisti, guardano con diffidenza la Cina, si preparano a finanziare e sostenere le proprie industrie, soprattutto se rimangono o tornano sul suolo americano. Il primo paradosso – lo si é visto a Davos – é che la Cina, la patria del dirigismo economico e statalista, si fa improvvisamente paladina di un mondo aperto e del libero scambio.
In questo quadro, la Brexit, e la ferma intenzione del governo britannico di metterla in pratica in modo rigoroso, é una versione sociale e anti immigrazione del verbo protezionistico. Londra cercherá di mantenere le proprie prerogativo di piazza finanziaria globale, ma il Paese pagherá un prezzo altissimo. Basti ricordare l’interscambio con i Paesi europei.
Nell’era Trump, si rompe il concetto di Occidente come alleanza di valori economici, civili, sociali condivisi pur con le differenze di culture, sistemi e tradizioni. Si fa strada invece un nuovo nazionalismo competitivo, che mette in discussione persino capisaldi militari (la Nato) e istituzionali (l’Unione Europea). Punti di convergenza si potranno sempre trovare, ad esempio nella lotta al terrorismo, ma di fatto l’interesse dei singoli Stati sembra prevalere. La prima conseguenza é il dialogo a diverse velocità e sensibilitá con la Russia, la probabile fine delle sanzioni, il probabile accantonamento della questione Ucraina, il riconoscimento dell’annessione della Crimea. Un’altra conseguenza, giá in atto, é l’incredibile alleanza Russia – Turchia, certamente in chiave antiterrorismo, ma anche in prospettiva di stabilizzazione del Medio Oriente e di ruolo primario nell’area. In Europa, prossima ad appuntamenti elettorali decisivi, lo scardinamento del sistema é ormai una realtá, dal momento in cui si ipotizzano apertamente la fine dell’euro, in alternativa l’uscita della Germania dalla moneta unico, l’Europa a diverse velocitá istituzionali, commerciali, finanziarie.
In questo quadro, la difesa europea diventa un tema cruciale. Da un lato, l’era Trump spinge per un superamento della Nato, il che può essere un fatto decisivo per convincere i PAesi europei a investire nella difesa del Vecchio Continente. Ma, d’altro lato, la debolezza dell’Europa e le spinte nazionalistiche/populistiche rendono piú difficile questa prospettiva.
L’era Trump segna anche una nuova sconfitta della sinistra riformista, progressista, politicamente corretta, piú attenta all’establishment che ai ceti medi e alla classi popolari. Il paradosso é che i poveri e gli operai hanno votato per Trump e si ritrovano governati da miliardari e tycoon della finanza. Ma é anche vero che il governo Trump promette di investire nell’industria nazionale e di sostenere con colossali investimenti pubblici occupazione e lavoro, magari con preferenza nazionale rispetto a nuovi e vecchi immigrati. Piú o meno ciò che promettono i partiti populisti e nei nazionalisti nel Vecchio Continente, cui si affiancano movimenti di vario genere (vedi grillini, podemos, tsipras etc) che, pur con motivazioni e parole d’ordine diverse, concorrono alla demolizione dell’Europa e dell’ordine globale concepito e messo in pratica in questi anni.
Di fatto Trump e no global, lepenisti e grillini arrivano alle stesse conclusioni. Il cerchio si chiude, stritolando un modello politico e culturale che ha perso la scommessa di un mondo migliore.