Mentre i capitali fuggono, lo spread si alza, l’Europa ci abbandona e si cercano disperati salvataggi a Mosca e a Pechino (con la speranza che si prendano un po’ del nostro debito in cambio degli ultimi pezzi di argenteria), il governo pentaleghista o xenopopulista si contorce su se stesso fra promesse impossibili, dissensi interni, soldi che non ci sono e quotidiana dose di balle spaziali per tenere buono l’elettorato e rinviare la resa dei conti. Nessuno capisce che cosa sia stato alla fine deciso per i vaccini, quale sia l’iter della riforma della Fornero, se ci saranno la flax tax, i tagli delle pensioni, l’accordo sull’Ilva, la Tav e il Tap, la riforma del Job Act e l’azzeramento di quanto fatto, nel bene o nel male, dai precedenti governi. Niente di niente. Soltanto uno stillicidio di annunci, abilmente distillati dalla Casaleggio & C e dal twittatore seriale Salvini, con una strategia cosi palese che non si capisce perchè nessuno se ne accorga e i giornali si limitino ad amplificarne gli effetti. Si spara un annuncione (tipo azzeremo tutte le concessioni), poi qualcuno degli alleati o nel proprio campo richiama prudenza o dice che non si puó fare e alla fine tutto rientra nello stagno in attesa del prossimo annuncio. Con un presidente del consiglio inesistente, un presidente della Repubblica che non puó esporsi più di tanto e un’opposizione allo stato comatoso, il gioco della coppia Salvini Di Maio è abbastanza facile. Tanto più se l’attenzione dell’opinione pubblica (dopo la parentesi genovese) è costantemente dirottata sul problema dei problemi, l’ «invasione» che non c’è, ma è come se ci fosse, se lo sbarco di 150 disperati diventa un caso mondiale, se non si parla di tratta degli schiavi ma solo degli stupri, se si possono accusare la Chiesa, le Ong, i volontari, di essere stupidi o complici degli scafisti.
Salvini lo ha capito benissimo e ritorce a suo vantaggio persino gli atti della magistratura («per me sono medaglie») e l’indignazione stantia degli intellettuali da salotto. Lui «copre» il governo sulla destra, solleticando tutti i mal di pancia di un elettorato intossicato da propaganda e false notizie che, al tempo stesso, paga sulla propria pelle gli effetti della crisi economica, i ritardi del Paese, la contiguità territoriale e sociale con gli aspetti più gravi e innegabili (insicurezza, criminalità) del fenomeno migratorio. Di Maio «copre» sulla sinistra, reiterando gli attacchi alle èlites, ai giornali, ai cosiddetti poteri forti, all’Europa (bersaglio prediletto anche da Salvini) per indicare tutto cioè che impedisce e impedirà la rivoluzione grillina.
Siccome nel frattempo il Paese precipita, non resta che amplificare giorno dopo giorno questa strategia, puntando a galleggiare fino alle elezioni europee e anche oltre. Naturalmente, Salvini più esperto, più cinico, meno esposto alle problematiche economiche e finanziarie di cui deve occuparsi Giggetto Di Maio, ha vita più facile. E questo è il senso vero del suo incontro con il leader ungherese Orban. Poco importa che l’Ungheria sia cresciuta grazie a enormi fondi europei, poco importa che proprio Orban non vuole sentire parlare di ridistribuzione dei migranti, poco importa che questi patti scellerati, persino al di fuori del protocollo diplomatico (infatti Conte, sic, si è infuriato) ci allontanino dai nostri patner fondamentali e storici, la Germania e la Francia, proprio nel momento in cui – dopo Brexit – avremmo molte carte da giocare. Poco importa che i finanziamenti europei destinati all’Italia per infrastrutture, regioni meridiali, investimenti in vari settori non vengano spesi per nostra incapacità decisionale e legislativa. Conta solo il consenso, a suon di balle e intossicazioni.