Un grande regista italiano amato dai francesi -Nanni Moretti – in un film di vent’anni fa, pregava Massimo d Alema, allora leader del partito comunista post comunista, di dire ogni tanto qualche cosa di sinistra. Almeno parole, se non fatti. Ma d’Alema, che in quegli anni si accreditava in Italia e nel mondo come rappresentante della sinistra socialdemocratica europea (facendo convegni con Clinton e Blair) e che sarebbe diventato il primo presIdente del governo italiano di origini comuniste, fece la scelta del riformismo, dell’alleanza pragmatica anche con forze di centro, di forte impegno internazionale che lo avrebbero portato a fare partecipare l’Italia al bombardamento Nato della Serbia e all’intervento armato in Kosovo. Erano gli anni dell’Ulivo, la grande alleanza riformista guidata da Romano Prodi e, appunto, da d’Alema. Quella stagione della sinistra al governo si chiuse con la rottura dell’alleanza da parte della sinistra comunista di Fausto Bertinotti, la caduta del governo e la nuova e lunga stagione di Berlusconi. Anni in cui l’Italia é rimasta bloccata, sotto i colpi della crisi economica, delle riforme mancate, di un governo piú preoccupato di fabbricare leggi ad personam per garantire l’immunitá del Cavaliere che di affrontare le grandi sfide imposte dalla globalizzazione. In questo quadro, si sono affermati movimenti populisti e anti europei, come la Lega Nord e, sopratttutto, il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo.
E’ seguito un periodo di instabilitá, rotto dalla straordinaria affermazione di Matteo Renzi, il giovane sindaco di Firenze che ha prima conquistato la leadership del PD e poi ha guidato il governo per quasi tre anni. Nel suo bilancio, alcune importanti riforme, ma anche battute d’arresto, errori e un eccessivo personalismo che lo ha portato a una sonora sconfitta al referendum sulle riforme costituzionali, ovvero sulla sua riforma faro, lanciata per semplificare il complicato sistema italiano, abolire la doppia camera paritaria (riducendo le funzioni del senato), creare le premesse per unsistema maggioritario.
La sconfitta di Renzi ha aperto profonde crepe nel PD. La leadership di Renzi, dimissionario come capo del governo e come segretario, é stata messa sotto processo, benché la maggioranza del partito sia ancora dalla sua parte. La storia si ripete. A guidare la minoranza ribelle é Massimo d’Alema, il quale accusa Renzi di non dire e non fare cose…..di sinistra. Alcuni pezzi grossi del partito, che Renzi aveva emarginato, hanno deciso la scissione. La guerra interna al PD é una guerra di persone piú che di programmi e contenuti. Anche perché, alla vigilia di un congresso, sarebbe stato piú utile e intelligente, per l’unitá e la salute del partito, aprire un forte dibattito interno. Ma il futuro del PD dopo la scissione e lacerato al proprio interno, condiziona inevitabilmente tutto il quadro politico italiano, essendo il partito di maggioranza che sostitene il governo Gentiloni. Intanto, le forze populiste avanzano. Il movimento 5 stelle é il primo partito, secondo i sondaggi, nonostante scandali e dlilettantjsmo alla guida della Capitale. La scissione costerá al PD una cinquantina di deputati e forse il 6/7 per cento dei voti, ma non servirá a nessuno. Come in FRancia, le divisioni a sinistra allontanano prospettive di governo. Lo scontro personale, ammantato di pregiudizi e ideologia, porta al suicidio. E non sarebbe la prima volta.