Di proclami  come questo, diffusi in rete con decine di migliaia di like, sono autori alcuni dei gilet gialli più capaci di mobilitare e organizzare la protesta, anche se il movimento non vuole nè leader nè portavoce. L’analisi di molti profili su facebook e di quanto scrivono alcuni fa emergere un universo sociale e politico complesso, le cui caratteristiche si possono riassumere cosi:

– declassamento economico. Non si tratta soltanto di poveri, ma di  francesi che stentano ad arrivare alla fine del mese pur avendo un salario decente (attorno ai duemila euro) e un mestiere fisso. Artigiani, camionisti, commessi, impiegati, operai, impiegati pubblici. È una Francia immiserita dalla globalizzazione, dal taglio di servizi pubblici nelle periferie e nelle campagne, che paga tasse (in Francia è più difficile evadere e lavorare in nero), che subisce gli aumenti dell’Iva e delle tariffe.

– declassamento sociale. È una Francia provinciale, periferica, agricola che non si sente ascoltata né rappresentata dalla politica, dal centro, dalle élites parigine e che contesta in blocco tutto ció che viene dalla capitale. Per questo Macron, come il re al tempo della rivoluzione, è il principale bersaglio. Si respira una sorta di odio sociale, senza connotati ideologici, anticapitalistici o anticonsumistici (come nel Sessantotto), determinato dalla frustrazione, dall’idea fissa che chi sta meglio sia corrotto o non se lo meriti.

– declassamento politico. È una Francia che non crede più ai partiti, alle istituzioni, agli strumenti di rappresentanza, che reclama democrazia diretta, referendum, abolizione del parlamento, dimissioni del presidente. In alcune frange si respira un clima insurrezionale, comunque contraddistinto dall’antipolitica. Nemmeno le sirene di Marine Le Pen e Jean Luc Melenchon, l’estrema destra e l’estrema sinistra fanno breccia.

– declassamento  culturale. È una Francia che si informa sul web, che crede a complotti e pericoli oscuri come il Natan nelle caricature di Crozza, tendenzialmente ostile a immigrati e minoranze (ad esempio femministe o gay), che ritiene meglio difese e rappresentante. Il nemico di fondo, sul piano culturale, è il politicamente corretto delle classi dirigenti, degli intellettuali, di una parte della sinistra. È la più grande differenza rispetto al Sessantotto della sinistra intellettuale. La mobilitazione di oggi degli studenti non deve ingannare. Non è contro l’autorità o per un mondo migliore, ma contro la precarietà e le riforme del presente.

– declassamento organizzativo. È una Francia movimentista che non ha fiducia nemmeno nel sindacato,  che non sa come strutturarsi nè come farsi sentire se non scendendo in piazza. Il problema è aggravato dal sistema istituzionale del Paese, unica democrazia al mondo che assegna poteri eccezionali al presidente e scarso peso ai corpi intermedi, al parlamento e allo stesso governo, al punto che Macron puó con disinvoltura smentire il suo primo ministro e decidere di sostituirlo per offrirlo come parafulmine alla piazza in rivolta. Forse, se i gilet gialli vivessero in Italia si sentirebbero vicini al giallo grillino e un po’ alla Lega. Di fatto, il mondo pentaleghista ha sconfitto tutti gli altri e ha dato rappresentanza a chi non crede più a niente, a chi ha paura del futuro, a chi chiede servizi e protezione sociale e vuole pagare meno tasse. Sintesi impossibile se non aumentando il debito pubblico. In Italia ci stanno provando, la Francia lo farà. Ma cosi il futuro si distrugge e il presente non se la passa bene.