Ogni presentazione del Boss è una storia a sé. A Torino sembrava d’obbligo parlare di triangolo magico e di rapporti con Lione (TAV in primis), invece il dibattito si è focalizzato su trapianto di testa e prolungamento della vita, e sulle questioni di bioetica che queste pratiche aprono, almeno in Italia.
Trait d’union la ricerca dell’immortalità, che nel mio romanzo prende le mosse dalla vicenda dal VII principe di Sansevero. Raimondo di Sangro, come riporta lo stesso Benedetto Croce, avrebbe operato numerosi esperimenti in materia, tra cui la realizzazione delle macchine anatomiche, due corpi imbalsamati secondo un procedimento chimico ad oggi ignoto. E una volta morto si sarebbe fatto tagliare a pezzi nella speranza di resuscitare grazie ad uno dei suoi riti alchemici.
Oggi è infatti la scienza che tenta di rispondere ad una domanda di immortalità sempre più forte, mettendosi sulla scia di quanto anticipato dalla letteratura ai tempi del Frankenstein di Mary Shelley (un personaggio forse non a caso nato a Napoli, dove il principe di Sansevero ancora oggi ha la sua cappella-museo e dove è ambientato “Il boss è immortale”).
Una domanda di immortalità che sembra non lasciare indenne alcun potente: boss della mafia, alti prelati, illustri politici, e in fin dei conti gli scrittori stessi, che con i loro romanzi cercano un’immortalità per molto tempo ad appannaggio di grandi condottieri e uomini di lettere.
Al Circolo dei Lettori di Torino il dibattito è stato animato dalla presenza del collega Vittorio Sabadin – editorialista de La Stampa – e del prof. Sergio Canavero, neurochirurgo, pioniere nel campo dei trapianti di testa.
Tre le posizioni emerse:
Lo scienziato: la ricerca sta compiendo passi da giganti e il trapianto di testa non è un’utopia. Né l’etica cristiana può rappresentare un ostacolo. Il suo potere è ormai geograficamente circoscritto, come dimostra il silenzio della stampa italiana su trapianti di testa già avvenuti con successo su animali. O su progetti che lavorano per clonare il corpo umano in modo da poterlo “sostituire” senza incorrere in problemi di rigetto, in caso di malattia o di vecchiaia avanzata.
Il papa, 24 ore dopo la diffusione della notizia sul trapianto di testa avrebbe dichiarato: “non tutto ciò che è tecnicamente fattibile è eticamente accettabile”.
In Cina e in altre parti del mondo, invece, vince il pragmatismo: se un intervento è utile si fa e si lavora per clonare il corpo e sostituirlo una volta invecchiato. Basta avere i soldi. I potenti di tutto il mondo finanziano la loro aspirazione all’immortalità.
Il giornalista: viviamo in un modo sovrappopolato. Non abbiamo bisogno di prolungare oltre modo la vita. E forse il senso stesso della vita sta nel suo limite. Come diceva Gustave Roll: “non temo la morte perché il meglio deve ancora venire”. Pragmatismo al servizio di una prospettiva escatologica. E in ogni caso non abbiamo testimonianze che accertino l’effettivo successo dei trapianti di testa.
La mia personale opinione è che il giornalista ha il dovere di accertare i fatti e di chiedere “prove” di sperimentazioni e risultati. Ma spesso la “notizia” delle più clamorose scoperte scientifiche è arrivata come un colpo di fucile. La ricerca procede in sordina.
Alla letteratura il compito di anticipare la realtà, o come spesso è successo ad artisti e scrittori, di cogliere ciò che è in nuce nel proprio tempo.
Scrivere romanzi è dunque un’opportunità per dire tutto ciò che come giornalisti si ha il dovere di lasciare nella penna. Compresi i grandi interrogativi che gettano una luce interpretativa o premunitiva quando i fatti emettono i primi vagiti.
- Vittorio Sabadin – editorialista de La Stampa
- Sergio Canavero – neurochirurgo
- Massimo Nava – autore de “Il boss è immortale” – editorialista del Corriere della Sera