Un assordante silenzio accompagna le brevi vacanze di Emmanuel Macron. Il presidente francese e la moglie Brigitte non parlano e appaiono raramente in pubblico, mentre l’opinione pubblica e il mondo politico, fra gossip e rivelazioni più o meno attendibili, s’interrogano sulle conseguenze dello scandalo Benalla (la guardia del corpo di Macron, un po’ troppo vicina al presidente, troppo disinvolta e poi troppo protetta) e guardano con apprensione alla ripresa di settembre. La Francia non ha certo bisogno di un presidente arroccato e bersagliato da sospetti umilianti, in calo nei sondaggi, costretto a rinviare un’ambiziosa riforma costituzionale concepita per semplificare le istituzioni, assediato dalle opposizioni che rialzano la testa e da sindacati che vorrebbero cogliere l’opportunità di bloccare o almeno addolcire la pillola delle riforme strutturali messe in cantiere nel primo anno di presidenza. Non ne ha bisogno nemmeno l’Europa alla vigilia di elezioni cruciali per la sussistenza (o l’implosione) di un progetto ideale di cui Emmanuel Macron e Angela Merkel sono ancora i promotori indispensabili, benchè non sufficienti. Nel primo anno di presidenza, Macron ha incarnato un’ambizione e una volontà di rilancio del progetto, per spegnere nel Vecchio Continente il riemergere di « passioni tristi», populismo, xenofobia, sovranismo, e trovare contromisure all’unilateralismo di Trump.
Ma oggi? Certo è che Macron si è fatto male da solo, facendo affidamento in modo eccessivo su una pattuglia di fedelissimi consiglieri all’Eliseo, su una straordinaria ma inesperta e variegata maggioranza parlamentare, sui poteri che il sistema francese conferisce al presidente come in nessun’altra democrazia e soprattutto su sé stesso, al punto da commettere incredibilmente alcuni degli errori che hanno accompagnato il declino dei predecessori. Il risultato è che crescita economica, fiducia delle imprese, euforia per la vittoria ai mondiali di calcio sono punti a favore improvvisamente annebbiati nel tritatutto mediatico. Cultura, visione della Francia e del mondo, competenze tecniche ed economiche, spirito di sacrificio e onestà riconosciuta non risparmiano evidentemente nemmeno a Macron la sindrome del potere, l’idea che il successo e il consenso siano sufficienti a scansare incidenti di percorso, agguati e ricatti nei corridoi delle istituzioni e dei ministeri, insofferenze in molti ambienti — funzionari, militari, diplomatici, intellettuali — che hanno avvertito un atteggiamento decisionista e accentratore, in Francia frequentemente definito, anche a sproposito, come «deriva bonapartista ».
Per questo si sente dire che l’affare Benalla non è affatto chiuso. Molti ne vogliono approfittare. La conservazione è in agguato. I nemici dell’Europa non si augurano di meglio. E’ la classica fessura in cui s’infilano ogni genere di veleni, calcoli, aspettative.

Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera il 14 agosto 2018