È improbabile che gli striscioni appesi ai municipi portino alla verità sul caso Regeni. Ma conservare la memoria di un giovane caduto, forse incautamente, in un micidiale intrigo di complicità e silenzi serve a tenere alta l’attenzione, a rinnovare il bisogno di verità, a difendere l’onore e la dignità della vittima e di un Paese, l’Italia, in qualche modo offeso dal muro di omertà delle autorità egiziane. Per questo, la rimozione dello striscione dalla sede della Regione Friuli Venezia Giulia, decisa dal governatore, il leghista Fedriga, è un’ offesa al povero Giulio, alla sua famiglia e anche al Paese. Sarebbe come rimuovere una lapide o una targa per fare posto a un parcheggio o non sostituire i mazzi di fiori nei cimiteri, perchè tanto del morto non ci si ricorda più. Questione di sensibilità, di stile e, nel caso del governatore leghista, anche di coerenza, poichè dimenticare Giulio significa togliere significato anche a quel « prima gli italiani » la cui valenza suona sempre più come strumentale ed elettoralmente funzionale a una sola parte politica.
Giulio Regeni è morto da italiano in terra straniera, nell’Egitto, terra musulmana di emigrazione. Giulio Regeni è morto da italiano come tanti altri eroi italiani dimenticati, vittime del terrorismo, di sequestri in terre ostili, di oscure trame, tutti animati dalla volontà di fare del bene, di cooperare, portare solidarietà (parole spesso anestetizzate nella cultura leghista). C’è da chiedersi se la rimozione dello striscione non sia anche un riflesso condizionato dell’evidente ostilità verso chiunque si occupi di terzo mondo, a cominciare da quanti soccorrono la gente in mare. Speriamo che non sia così, per non aggiungere all’offesa la vergogna.