Fra pochi giorni, il 4 dicembre, gli italiani voteranno per approvare o bocciare la proposta governativa di riforma della Costituzione. Il referendum non necessita di maggioranza di partecipanti, ma é ovvio che sia la vittoria del SI sia la vittoria del NO avranno un peso politico anche in rapporto al tasso di partecipazione. La riforma cambia numerosi articoli della Carta, ma in sintesi si può spiegare in pochi concetti sostanziali.
Il primo e piú importante punto é la fine del cosiddetto “bicameralismo perfetto” ossia il meccanismo istituzionale per cui le leggi devono essere approvate e possono essere modificate sia dal Senato, sia dalla Camera dei deputati. L’Iter legislativo é attualmente lungo e complicato dalla dialettica politica, anche perché le maggioranze al Senato e alla Camera non sono simili. Deputati e senatori vengono eletti con sistemi diversi e all’elezione del Senato possono partecipare cittadini che abbiano compiuto 25 anni.
La riforma vuole semplificare il sistema, affidando alla sola Camera dei deputati l’iter legislativo e la fiducia al governo. Il Senato viene ridotto da 315 a 100 senatori, non piú eletti ma designati da città e Regioni non modo proporzionale ai risultati delle elezioni locali, diventando di fatto una Camera delle realtá locali, con poteri limitati e consultivi, salvo che in caso di leggi costituzionali.
Il secondo punto della riforma riguarda le competenze delle Regioni. L’Italia non é ancora un sistema federale, ma le competenze regionali sono molte e molto ampie. Troppo, secondo i promotori della riforma, soprattutto in materia di trasporti, infrastrutture, turismo. Le maggiori competenze programmatiche ed esecutive del governo consentirebbero di snellire i processi decisionali e di attuare interventi di cui l’Italia ha un drammarico bisogno.
Il referendum non riguarda, come molti elettori italiani invece credono, anche la riforma del sistema elettorale, il cosiddetto Italicum, che però é conseguenza diretta della riforma costituzionale.
Occorre infatti decidere come eleggere la sola Camera e definire meglio il regolamento di elezione dei futuri senatori. La proposta del governo assegna un forte premio di maggioranza al partito vincente, ma tutte le forze politiche sono impegnate in una revisione della proposta in modo fa gararantire una maggiore rappresentanza delle minoranze e un minore peso del partito vincente.
Questa é in sintesi la posta in gioco sul piano tecnico. Altra cosa é la lettura politica al centro ovviamente della campagna elettorale e delle polemiche fra maggioranza e opposizioni, oltre al fatto che nel dibattito si sono inserite numerose opinioni trasversali agli schieramenti : costituzionalisti, opinionisti, attori, imprenditori, banchieri, laici e cattolici, membri dello stesso partito si sono divisi nei due fronti e persino il PD, il partito democratico del premier Matteo Renzi, é lacerato. Grosso modo, si può dire che a favore della riforma sono la maggioranza del PD, i centristi alleati di governo e una parte non valutabile delle opposizioni di destra, che sono contro Renzi ma valutano i lati positivi della riforma. Contro tutti gli altri.
Secondo i sondaggi, il No sarebbe in vantaggio.
La critica piú forte alla riforma riguarda il fatto che l’abolizione del Senato, da anni auspicata dall’opinione pubblicata italiana, si riduce in sostanza a una diversa forma di elezione dei Senatori, per quanto in numero minore. In secondo luogo, molti si oppongono alla messa in discussione delle prerogative delle regioni. In terzo luogo, collegando la riforma della Costituzione alla riforma del sistema elettorale, si sostiene che il governo – qualsiasi governo – avrebbe troppi poteri. Qualcuno si spinge a sostenere che la riforma é l’anticamera di una svolta autoritaria, a tutto vantaggio del premier Renzi che l’ha voluta.
Da parte del governo, si sostiene invece che la riforma soddisfa finalmente una domanda degli italiani giacente da trent’anni, decenni in cui tutti i tentativi di riforma sono falliti. Si tratta di snellire l’iter legislativo, di velocizzare le decisioni, di ridurre i costi della politica, di permettere al governo in carica di governare, di assicurare stabilitâ in una situazione europea e mondiale in cui governi deboli e instabilitá non riuscirebbero a fare e a difendere gli interessi del Paese. Nessuna svolta autoritaria, ma modernizzazione ed efficienza. Quanto alla legge elettorale, il governo é pronto a modifiche.
Il paradosso del dibattito in corso in Italia é che la riforma sarebbe anche una risposta al diffuso sentimento di disgusto e distacco dalla politica, per le sue lentezze, costi e corruzione. Ma gli stessi sentimenti sono contro il governo e contro Renzi in particolare perché questo é il momento mondiale delle opposizioni alle élite, ai governi. Il momento del No sempre e comunque.
Per questo il No è trasversale. E per il No si sono schierati anche intellettuali e personalitá che non appartengono alle opposizioni e che non possono essere catalogati come populisti. É un sentimento a volte di convinta critica alle manchevolezze della riforma, ma piú spesso di conservazione del sistema attuale, di un gioco esasperato e esasperante di pesi e contrappesi, in cui il potere esce dal Parlamento per finire a lobby, gruppi e a chiunque abbia ruolo e capacitá di compromesso e mediazione. In Italia é stato scritto il Gattopardo. “Si cambia tutto perché nulla cambi”. Uomini che ieri volevano cambiare, D’Alema e Berlusconi, oggi sono insieme, contro il cambiamento.