Figli e nipoti d’immigrati contro figli e nipoti della guerra. La finale Francia Croazia è stata anche un richiamo forte ai drammi del nostro tempo. Nella sua globalità milionaria, il calcio conserva la straordinaria capacità di esprimere una simbologia universale. Al di là del risultato, questa simbologia dovrebbe restare nella memoria del Mondiale russo. Per dare un colpo ai pregiudizi, per ritrovare nuovi impegni, per non rimettere fra parentesi, dopo la festa e la consolazione, le opposte problematiche dei due Paesi : il fallimento dell’integrazione in Francia, il mai sopito nazionalismo xenofobo in Croazia. Problematiche che non sono un’esclusiva dei due Paesi, ma   serpeggiano pericolosamente in un’Europa che – come ha detto il presidente Macron – sta riscoprendo « passioni tristi ».

La Francia attendeva questa vittoria con lo stesso spirito del trionfo parigino di vent’anni fa. Stesso spirito di autocelebrazione, in cui i francesi sono maestri, e analoga narrazione. Allora, come oggi, il successo delle tre B, blanc, beur, black, della nazione multiculturale e multietnica, una pagina di storia sportiva per un capitolo di storia nazionale finalmente non scritto dalle élites.

Per la Croazia sarebbe stata la definitiva consacrazione internazionale di un piccolo Paese e di una giovane Nazione che ha appena medicato le ferite della guerra e che non vorrebbe essere conosciuta soltanto per l’invenzione della cravatta. In più con il sapore del mito di Davide che sconfigge Golia. La sconfitta brucia sempre, ma non ridimensiona nè la squadra nè l’orgoglio del Paese.

Altra musica nella Francia che sventola il tricolore e balla nelle piazze. Il passato coloniale regala anche questo secondo trionfo calcistico. Algeria, Camerun, Mali, Congo, Guinea, Senegal – il sangue africano nella nazionale transalpina – sono oggi provincia di Parigi. Almeno oggi, nessuno, forse nemmeno Marine Le Pen, avrà nulla da obiettare. Che sia questo lo spot più efficace contro i cori razzisti dei tifosi e i tanti capi polo in ascesa fuori dagli stadi?

L’articolo è stato pubblicato il 16 luglio sul Corriere della sera