Nella crisi del coronavirus, è opinione condivisa che la Germania sia parte del problema e parte della soluzione. Si sostiene che la crisi sia appesa dalla prudenza tedesca e che sarebbe in prospettiva più sopportabile se Angela Merkel cedesse sugli eurobond o comunque sulla mutualizzazione del debito.
La Germania è tacciata di egoismo e al tempo stesso di volontà egemonica. Si denuncia il ripiegamento di un Paese che non vuole pagare i debiti degli altri e preferisce tirare un tratto di penna sulle lezioni della storia e sui debiti (non tutti pagati) del passato nazista. Argomenti critici peraltro usati proprio in questi giorni da esponenti tedeschi di primo piano, quali l’ex cancelliere Schroeder (Spd) e l’ex vice cancelliere Fischer (verdi). D’altra parte, è pur vero che la corte costituzionale tedesca escluderebbe mutualizzazione dei debiti oltre un certo limite e che i bond dei risparmiatori tedeschi finirebbero per essere remunerati molto meno dei bond europei.
Ma abbiamo mai provato a chiederci fino a che punto, o meglio fino a che prezzo, l’Europa del Sud stia davvero a cuore alla Germania? Quanto pesano su interessi e strategie di Berlino l’allargamento ad est, l’influenza economica sulla Mitteleuropa, la consapevolezza che il futuro, nella competività globale, risieda nella conquista d’oriente e sempre meno nei mercati d’ Europa, da cui la Germania può continuare a drenare manodopera, cervelli e capitali, mantenendo l’interscambio e l’interdipoendenza di alcune filiere?
Nel novembre del 1989, non è nata soltanto una Germania più grande, più popolosa, capace di inglobare e risanare il suo Mezzogiorno comunista. E’ nata (o meglio, rinata) una Mitteleuropa stabilmente nella sfera d’influenza economica della Germania. Le imprese tedesche si sono installate in Repubblica Ceka, Polonia, Ungheria, Romania, Ucraina e sono prosperate, grazie anche a uno spregiudicato dumping sociale. I rapporti economici con i Paesi baltici si sono intensificati. La Russia postsovietica è diventata il grande mercato delle merci tedesche e il polmone energetico, grazie anche ai discreti rapporti d’affari dell’ex cancelliere Schroeder. L’Europa “tedesca”, dal punto di vista dei mercati, assomiglia più all’Europa delle coppe di calcio (che comprende infatti anche la Biolorussia) che all’Europa dell’euro.
Sull’onda del principio dell’autodeterminazione dei popoli affermato con la riunificazione del Paese, la Germania è andata oltre la volontà di allargamento della sfera economica, riconoscendo per prima l’indipendenza di Croazia e Slovenia (oggi porte orientali della UE), favorendo di fatto la dissoluzione della Jugoslavia, estendendo l’area commerciale del marco alla Bosnia, alla Serbia, fino all’Albania e al Kosovo. Per la storia, molti volontari delle guerre balcaniche erano immigrati che tornavano a combattere con le loro Mercedes cariche di armi, soldi e uniformi. L’influenza economica ha interessato la Grecia, con una potente opera di penetrazione di industrie, infrastrutture e armamenti tedeschi (da cui deriva anche una parte del debito greco) e si è estesa sempre più alla Turchia, che fornisce alla Germania un’emigrazione largamente affidabile e qualificata e favorisce un forte interscambio turistico e commerciale, gestito anche da una rete importante di imprese turche installate in Germania.
Se si osserva più in profondità questo quadro sintetico, è utile riflettere sulla direzione degli interessi tedeschi, sulla strategia di Berlino rispetto all’Europa del sud, sull’indifferenza della Germania al progetto francese di Unione per il mediterraneo, sull’effettiva preoccupazione per le sorti dell’Europa comunitaria rispetto al consolidamento della penetrazione verso Oriente, dalla Russia alla Cina. E’ vero che Francia, Italia, Spagna sono ancora oggi primi patner commerciali, ma è anche vero che le vendite di automobili tedesche in Cina registravano fino a gennaio incrementi a doppia cifra. Fra vecchia Europa impoverita e nuovo Eldorado, la Germania da che parte guarderà? Sempre che la « locomitiva » non sia tentata di sganciare i vagoni di coda.