Le polemiche sul divieto di burkini e sulla libertá di satira di Charlie Hebdo hanno messo in evidenza, ancora una volta, quanto la concezione dei diritti, della tolleranza, del rispetto fra culture diverse possano essere intepretate in modo confuso e spesso a senso unico. Il che non aiuta né la tolleranza, né la comprensione. Il collegamento fra divieto di burkini, poi soppresso dal consiglio costituzionale francese, e il buon diritto di Charlie Hebdo di ironizzare, anche in modo sgradevole, su qualsiasi argomento, da Maometto al terremoto, non é arbitrario. E’ rivelatore di due facce contrapposte del problema. Da un lato, si invoca ogni genere di diritto “fondamentale” : della donna di vestirsi come vuole, dei giornalisti di fare satira, di comportamenti e libertá di parola da parte di chiunque. Dall’altro, si considerano meno importanti e affatto “fondamentali” altri diritti : di rispetto delle tradizioni, di rispetto per la religione, di buon gusto, di rispetto per la propria identitá e cultura e – per stare al terremoto – del proprio dolore.
Chi ha il “diritto” di stabilire che cosa sia prioritario? In base a quali valutazioni e principi possiamo argomentare che la libertá della donna sia minacciata dal burkini o che l’offesa ai terremotati, con tanto di pregiudizi sulle tradizioni mafiose, sia una forma di libertá di espressione? Sarebbe interessante un sondaggio in cui si potessero accertare quante siano le risposte favorevoli ad entrambe le domande. E’ assai probabile che, rispetto al burkini, prevalga un’interpretazione occidentale, per cui nessuno dovrebbe imporre a una donna come vestirsi. Salvo non prendere in considerazione l’argomento opposto, ossia che nessuno dovrebbe imporre a una donna come…svestirsi, e quale tipo di costume da bagno indossare. E’ altrettanto probabile che, rispetto al dolore dei terremotati, prevalga una difesa identitaria e di gruppo, peraltro rafforzata e rassicurata dalla presa di distanza ufficiale della diplomazia francese, cioé della rappresentanza di un governo e di un Paese che hanno sempre difeso in ogni sede la libertá di espressione, comprese le volte in cui proprio Charlie Hebdo si é lanciato nella satira pesante contro la religione, in particolare musulmana.
Le polemiche hanno il vantaggio di stimolare dibattito e riflessione, anche se bisognerebbe tentare di tirarne qualche conclusione logica e non rinviarci al prossimo caso. Soprattutto dovremmo cominciare a porci il problema del senso della misura per non continuare a precipitare nel baratro dei due pesi e delle due misure. Se non hanno piú senso le censure, dovrebbero continuare ad avere senso il buon gusto e il rispetto dell’altro : inteso come individuo o come gruppo religioso, etnico, culturale. La nostra cultura europea e occidentale ci ha messo del tempo per considerare reato (anche di opinione) qualsiasi forma di antisemitismo. Perché non considerare, se non reato, quantomeno inopportuna, sgradevole, pericolosa l’offesa a una religione, a un gruppo etnico, a un popolo nel suo insieme?
Se non hanno piú senso i divieti (se non quelli di ordine pubblico), non dovrebbe avere altrettanto senso l’imposizione per legge di un’evoluzione (auspicata) di comportamenti e tradizioni.
Altrimenti rischiamo di precipitare tutti nell’evidente nevrosi della Francia, aggrappata al suo modello di integrazione laica e all’ideale dei diritti universali di cui si fa cosí spesso paladina, salvo poi ingarbugliarsi nella pratica quotidiana con problematiche sociali cosí gravi e complesse da non potere essere risolte confidando soltanto sul primato della norma. Occorre prendere atto che culture, identitá e valori religiosi resistono tenacemente e addirittura tendono a rafforzarsi in un mondo che si pretende globale e in cui miliardi di individui dialogano su facebook. Stigmatizzare un gruppo, insultarne un altro, pretendere che globalizzazione sia sinonimo di uguaglianza (non di diritti) ma di costumi e tradizioni può portare soltanto al disastro. I redattori di Charlie Hebdo hanno pagato un prezzo altissimo in nome del diritto alla satira. Continuano ad avere diritto alla solidarietá. Hanno anche l’immunitá per il buon gusto?