A chi conosce superficialmente il panorama politico francese, l’ascesa e il largo consenso del Front National e della sua leader, Marine Le Pen, può sembrare una novità piuttosto recente, collegabile a fattori ideologici e sociali che attraversano la Francia e piú in generale tutti i Paesi europei : populismo, paura dei flussi migratori, minaccia terroristica, ripiegamento su valori nazionalistici e identitari, soprattutto fra le classi medie impoverite e i ceti popolati che un tempo votavano a sinistra.

Non c’é dubbio che siano questi i fattori che hanno determinato il successo del Front negli ultimi appuntamenti elettorali e che hanno trasformato un movimento da sempre ai margini nella vita politica in un partito che ha sostanzialmente stravolto il tradizionale bipartitismo del sistema francese. Oggi l’alternanza fra centro sinistra e centro destra, con rispettivi alleati, é messa in discussione in un sistema diventato di fatto tripartito, con conseguenze piuttosto complicate e drammatiche per il ricambio della classe politica, per la scelta delle amministrazioni locali e regionali e soprattutto per l’elezione del presidente a doppio turno. Se il Front National é il primo partito, la contesa elettorale si trasforma in pratica in una corsa ad arrivare secondi, nella segreta speranza che contro il Front, come avvenuto in passato, si formi una coalizione “repubblicana” di destra e sinistra, quanto mai anomala e eterogenea.

Queste sono di fatto le nuove “regole” del gioco alle presidenziali della primavera 2016. Marine Le Pen stabilmente in testa e sicura finalista e il “secondo” posto conteso fra il candidato della “gauche” e il candidato repubblicano. Sono tuttavia molti gli analisi francesi a scomettere che la logica del fronte repbblicano non potrà ancora per molto salvare il sistema e l’immagine democratica e europeista della Francia, nel senso che la maggioranza dei francesi, molti dei quali hanno finora votato il Front per protesta, salvo ritornare a scelte tradizionali, sarebbero oggi, o la prossima volta, disposti a consegnare il Paese alla bionda Marine.

Occorre tuttavia aggiungere che il successo del Front ha radici lontane, persino precedenti alla leadership di Marine. Un movimento con radici e parole d’ordine di estrema destra, antieuropeo, xenofobo e razzista, in alcune occasioni apertamente antisemita, é stato infatti sempre presente dal dopoguerra. Le origini sono la Repubblica di Vichy, il reducismo della guerra d’Algeria, un conservatorismo contadino e bigotto che non vedeva di buon occhio la destra gaullista, la laicità della Repubblica, il cattolicesimo liberale. Per decenni, la leadership di Jean Marie Le Pen, padre di Marine, è stata assoluta, ma per decenni il partito e i suoi elettori sono stati come confinati fuori dal sistema, mai nemmeno in grado di mandare all’Assemblea propri rappresentanti, nonostante qualche milione di voti raccolti nei diversi appuntamenti elettorali. Il “pericolo” Le Pen é stato in realtà uno spauracchio, utilizzato e strumentalizzato anche dalla sinistra per sottrarre voti alla destra e capitalizzare il consensenso repubblicano.

Marginalizzato fin che si vuole, ma comunque presente, come un fuoco sotto la cenere, pronto a riaccendersi in sintonia con le inquietudini e le paure dei francesi. Se ne è accorto tardi il socialista Lionel Jospin, clamorosamente sconfitto al primo turno alle presidenziali del 2002 proprio da Jean Marie Le Pen che usciva dal limbo nel momento in cui il Paese entrava nell’euro. Da allora è stato un crescendo, di pari passo con le rivolte delle periferie, l’esplosione del fenomeno migratorio, la crisi economica interna e quella finanziaria internazionale.

Ma la crescita del Front è stata determinata anche dalla reazione miope degli avversari. La sinistra non ha compreso quanto il fenomeno attraversasse le classi popolari, non perchè convertite alla xenofobia e al populismo, bensì per le mancate risposte alle domande di sicurezza sociale ed economica. La destra, soprattutto con Sarkozy negli anni della presidenza e recentemente in campagna elettorale, ha cavalcato il fenomeno, sperando di recuperare l’elettorato del Front, ma finendo per banalizzare slogan, programmi e parole d’ordine in un linguaggio  che esula un po’ dalla tradizione gaullista e repubblicana.

In questo quadro, Marine Le Pen ha compiuto un capolavoro politico. Da un lato ha eliminato dalla scena suo padre, un “parricidio” che ha permesso di ripulire il Front dei personaggi piú imbarazzanti e delle parole d’ordine piú inquietanti. Nessun esponente del Front osa piú proferire messaggi antisemiti e sgradevomente razzisti. Dall’altro, ha cominciato a diluire nel bagaglio idoelogico originario un discorso piú adatto alla società francese di oggi, di cui lei stessa – divorziata, piuttosto aperta sulle tematiche civili – si è fatta inteprete per svecchiare il partito e catturare le giovani generazioni, che oggi rappresentano lo zoccolo duro del suo elettorato.

Al fondo, nè lei nè il Front sono cambiati. Forse è peró cambiata la società francese, lacerata dalle questioni del terrorismo e dell’immigrazione, più diffidente verso l’Europa, rabbiosa verso il futuro e nostalgica di grandezze passate. Pronta o comunque più disponibile ad ascoltare le sirene di Marine.